
La chiusura del Vietnam per l’aggravarsi della situazione Covid sta causando una crisi per i grandi marchi, anche outdoor e running, con lo stop dei trasporti e difficoltà di approvvigionamento. In particolare il lockdown imposto a Ho Chi Minh, sede del principale porto commerciale e città più popolosa del Vietnam con 13 milioni di abitanti, nonché alle varie zone delle pianure centrali è stato protratto fino a fine settembre.
Misure di sicurezza che stanno mettendo in gravi difficoltà l’intero settore commerciale e avendo pesanti ripercussioni sui mercati di Stati Uniti ed Europa per esportazione di abbigliamento e calzature. La conseguenza più probabile? L’aumento dei prezzi a carico dei consumatori.
Approvvigionamento
Sono infatti numerosi i marchi lifestyle e sportwear – anche outdoor e running – che producono in Vietnam e che ora stanno riscontrando molte difficoltà a causa del lockdown nazionale. Le aziende hanno problemi a trasportare le merci a causa delle limitazioni sugli spostamenti e faticano a rifornire i magazzini di scorte e forniture, determinando il caos nelle catene di approvvigionamento.
Oltretutto la domanda di prodotti finiti è in crescita in questo momento, dato che proprio ora gli Stati Uniti stanno allentando le restrizioni per un graduale ritorno alla normalità (l’Europa invece è in anticipo di un paio di mesi).
Tra le aziende in difficoltà anche Nike che sembrerebbe acquisti il 51% delle sue calzature e il 30% del suo abbigliamento in Vietnam.
Trasporto merci
Il lockdown imposto a Ho Chi Minh, nel sud del Paese, ha causato blocchi e restrizioni che si sono riflettuti anche sul trasporto di merci al porto della città, reso davvero difficoltoso. Si è creata così una lunga catena di ritardi e intoppi divenuta ancora più complicata dalla carenza di container e dall’incremento dei costi per l’esportazione delle merci (un’altra conseguenza della pandemia), nonché per i controlli doganali.
Trafficare beni e prodotti è dunque diventata una vera e propria impresa, costosa oltretutto. Ciò che manca – a sentire gli addetti ai lavori del posto – è un approccio coordinato da parte del governo, che con una serie di complicazioni burocratiche ha contribuito non poco ad aggravare la situazione, con gli autotrasportatori costretti a richiedere l’autorizzazione al transito a diversi ministeri.
Produzione
Alle difficoltà di approvvigionamento e trasporto merci si aggiunge anche la chiusura di un certo numero di stabilimenti tessili per la variante Delta, che ha costretto milioni di persone all’isolamento. Diversi clienti hanno così deciso di rivolgersi alla concorrenza in altri stati, esattamente come successo un anno fa, quando la chiusura di molte attività in Cina nelle prime fasi dell’emergenza sanitaria favorirono le fabbriche vietnamite.
Situazione epidemiologica
E pensare che nel 2020, allo scoppio della pandemia, il Vietnam è risultato essere uno dei Paesi più virtuosi al mondo, muovendosi fin dalle prime ondate a chiudere i confini, eseguire un tracciamento capillare dei contagiati, individuare e isolare velocemente i focolai. I casi di positività registrati sono così stati pochi: meno di 1.500 infezioni in tutto l’arco dell’anno.
Un tipo di sforzo che però non si è protratto anche nel 2021. In particolare a fine aprile la popolazione è stata colpita da una serie di contagi in diverse zone del Paese, che hanno determinato la cosiddetta “quarta ondata”. A fine giugno, poi, il livello dei positivi ha raggiunto soglie preoccupanti, tanto da introdurre le prime importanti restrizioni quali la chiusura dei ristoranti e dei luoghi di ritrovo. L’epicentro individuato a Ho Chi Minh, infine, ha imposto l’introduzione di una serie di restrizioni, che ad agosto sono state ulteriormente inasprite e prolongate. Il 30 agosto i nuovi casi di positività sono stati 14.219, il secondo aumento giornaliero più alto dall’inizio della pandemia, con il numero totale di contagi in Vietnam salito a 445.292.
Campagna vaccinale
In Vietnam la campagna vaccinale è partita il 7 marzo 2021, con il Paese rientrante tra i beneficiari del programma internazionale COVAX (“Covid-19 Vaccine Global Access”), che mira a fornire agli stati poveri un uguale accesso ai vaccini contro il Covid. Nonostante nel Paese sia stato autorizzato l’utilizzo di ben sei vaccini (AstraZeneca, Sinopharm, Pfizer–BioNTech, Moderna, Johnson & Johnson, Sputnik V), solo il 2,6% della popolazione (pari a circa 2,5 milioni di persone) ha completato il ciclo di profilassi.
I vaccini inoltre non sono sufficienti per la popolazione, con la mutazione Delta che si insinua così con maggiore facilità, come accade anche in numerosi altri Paesi del sud-est asiatico.
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