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I praticanti sono sempre di più, ma hanno un prodotto pensato per le loro esigenze? Parola a Giorgio Garello, consulente tecnico Enda Running.

Il walking è in netta espansione, ma l’impressione è che non si conosca ancora bene a fondo questo mondo per quello che è davvero. C’è tanta approssimazione sia da parte dei brand, sia da parte dei consumatori, soprattutto nell’approccio al prodotto che dev’essere “solo” comodo. Ovviamente la percezione iniziale dev’essere questa, ma ci sono delle differenze importanti nelle geometrie costruttive tra i modelli da corsa e quelli da cammino perché, banalmente, sono diversi il gesto e le forze che si applicano. Abbiamo incontrato Giorgio Garello, massimo esperto per quando riguarda il camminare, e, con lui, ci siamo confrontati sulla questione e su come vi si possa porre rimedio.

Giorgio Garello, consulente tecnico Enda Running

Che mondo è quello del cammino?
Il mondo del cammino, purtroppo, oggi è ancora inteso solo come la passeggiata, quando in realtà è persino più grande di quello del running e si può suddividere in tre categorie. Una grossa fetta del mondo walking è in effetti costituita dai cosiddetti passeggiatori: persone che non sono schiavi dell’auto e non hanno problemi a fare spostamenti a piedi all’interno delle loro abitudini. Normalmente non hanno grandi esigenze per quanto riguarda le scarpe, basta che siano comode e, preferibilmente, con tomaie tradizionali. Un’altra categoria del mondo walking è quella dello sport & salute. Il cammino è inteso come attività legata al benessere fisico e mentale, come può essere il running per amatori non evoluti. Camminate veloci da 6/12 chilometri ogni due giorni, con outfit sportivo e scarpe da corsa ammortizzate. Infine, la terza e ultima categoria è composta da coloro che camminano come attività quotidiana, si allenano regolarmente e partecipano a gare e manifestazioni. Fino a qualche anno fa, la pratica del cammino era prevalentemente composta da un pubblico femminile. L’uomo si è avvicinato gradualmente, insieme agli ex-corridori che, per un motivo o per l’altro, non riescono più a correre e quindi hanno ripiegato sulla camminata. Cercano normalmente delle scarpe leggere e performanti, come possono essere le ammortizzate da 250/270 grammi. È un mondo senza dubbio in grande espansione.

Che ruolo hai all’interno di questo mondo?
Nel mondo del cammino ci sono entrato circa 20 anni fa, per via della specialità atletica che praticavo. Correvo infatti le ultra-maratone e quindi era fondamentale, per arrivare in fondo alle gare, accettare una “fase di cammino”. C’è anche un aspetto professionale: dal 2001 al 2019 ho lavorato in ASICS. Inizialmente mi occupavo della logistica – ero manager di tutti i magazzini – poi, stanco di quel mestiere sono andato nel commerciale, dove mi hanno affidato la distribuzione del prodotto walking. ASICS è sempre stata all’avanguardia sotto questo punto di vista: già nel 2004/2005 aveva una linea interamente dedicata alla camminata. Purtroppo, il mercato non era minimamente pronto.

Fonte: #sentieridiversi

Ora lavori in Enda. Hai sollevato la questione dell’assenza di un prodotto per camminare?
Assolutamente sì. La filosofia odierna di Enda è di avere delle scarpe semplici come concezione. Scarpe che assimilano quasi il natural running di qualche anno fa, quindi abbastanza sottili. Una delle due scarpe road che produciamo appartiene a una categoria che è una via di mezzo tra la superleggera e l’intermedia di un tempo. Ha quindi dei requisiti che possono soddisfare, come per esempio l’anteriore. Il problema è che siamo un’azienda piccola e che, ora come ora, dobbiamo procedere a “piccoli passi” perchè le cose da fare sono davvero tante.

Quali caratteristiche dovrebbe avere una scarpa per camminare?
Se parliamo di un camminatore stradale, innanzitutto, l’intersuola non deve essere esageratamente alta – con misure che possono attestarsi su 8/10 millimetri, per averne 18/20 sul retro – non troppo soffice, e l’area del tallone non eccessivamente “pastosa” da affondare troppo nella prima fase di contatto. Vi dev’essere poi una geometria di ingresso del primo appoggio che favorisca la rullata, sia dal punto di vista di mantenimento dell’omogeneità del gesto, che per ridurre l’effetto frenata che si ha quando il tallone impatta col terreno. La flessibilità anteriore della scarpa dev’essere ben evidente nella zona che va dai metatarsi alle dita. Necessariamente ci dev’essere una buona stabilità mediale: quindi, gli inserti per contenere l’eccessiva pronazione vanno benissimo, non tanto per la naturale pronazione in sé ma per ridurre l’effetto torsionale che le scarpe più sottili e leggere hanno proprio a causa dei loro spessori. Per quanto riguarda la tomaia, dev’essere in linea con quello che offre oggi il mercato nei modelli road ma non knit; è quindi necessario un rinforzo nell’area del primo dito che nel gesto del cammino risulta normalmente iper-esteso verso l’alto e che incide sul cedimento della tomaia e crea il classico “buco” (evento percentualmente molto alto nei camminatori in confronto ai podisti). Se invece ci riferiamo al mondo off-road, quindi in un contesto di parchi, argini fiume, collina e media montagna e sui sentieri con un fondo non troppo disomogeneo, i modelli da trail sono un’eccellente soluzione, evitando però quelli alti di intersuola o con la stessa troppo rigida a livello mediale e anteriore.

Cosa dovrebbero fare gli operatori tecnici per educare il consumatore?
Alcune aziende e alcuni negozi, come per esempio DF Sport Specialist in Lombardia, hanno iniziato a fare “scuola”. Finita la giornata lavorativa si smonta il negozio, lo si fa diventare un’aula magna e si passa la serata insieme ad alcuni professionisti parlando di determinati argomenti. L’educazione si fa in questo modo, entrando in contatto con le persone e instaurando un rapporto. Ci vuole costanza però, un piano d’investimento ben definito che dev’essere portato avanti.

di Pietro Assereto